Eccidi dell'appennino

Eccidio di Gatta: All’alba del giorno 8 gennaio 1945 avanguardie di una colonna tedesca, mimetizzate e favorite dalla scarsa visibilità, raggiunsero il torrente Secchia attraverso la strada Gatta-Felina.In località San Bartolomeo era stato istituito un servizio di vigilanza al ponte della Gatta, situato in una stalla ed affidato ad una squadra del Distaccamento “Pigoni”.
Probabilmente conoscendone l’ubicazione, i tedeschi attraversarono inosservati il Secchia, aggredendo ed uccidendo immediatamente le due sentinelle Vasco Madini “Fulmine” e Sergio Stranieri “Randa”. Prima di morire, uno dei due giovani partigiani riuscì a dare l’allarme, ma i nazisti erano già troppo vicini, così il restante del Distaccamento tentò un rapido quanto improbabile sganciamento. Scesero verso il greto del torrente Secchiello seguendone la riva sinistra, col proposito di raggiungere il grosso del Distaccamento “Pigoni” fermo a Sonareto. Tuttavia la neve molto alta ed il terreno accidentato, resero il loro cammino molto lento e disagevole. I nemici marciarono invece più speditamente sulla strada sovrastante che porta a Carniana , riuscendo a precederli e catturandoli facilmente. Uno solo si salvò, mettendosi a riparo sotto un ponticello in muratura, mentre tutti gli altri vennero condotti all’interno della semidiroccata Villa Marta e là torturati ed uccisi. Fu così che oltre alle due sentinelle morirono: Aldo Bagni “Nerone”, Angelo Masini “Tonino”, Arturo Roteglia “Ellas”, il sabotatore Manlio Bruno “Costantino”, la staffetta del Comando Unico Ruggero Silvestri “Jena”, Aristide Sberveglieri “Tallin” e Armando Ganapini “Lazzarino”. I graduati Gino Ganapini “Leone” e Carlo Pignedoli “Mitra” vennero invece tradotti nelle famigerate carceri di Ciano e successivamente fucilati il 26 gennaio ‘45.
Eccidio di Cervarolo1944 – Marzo – Eccidio di Cervarolo 
In seguito alle gravi perdite subite nel corso della battaglia a Cerrè Sologno del giorno 15 marzo 1944, i nazifascisti iniziarono un vasto rastrellamento, con l’intento di distruggere le formazioni partigiane. Il mattino del successivo giorno 20, infatti, Civago e Cervarolo furono investite dalle soldataglie tedesche e fasciste. Sulla mulattiera per Civago i paracadutisti della Goering uccisero un giovane ragazzo e ferirono gravemente un vecchio, giunti in paese uccisero altre due persone; poi si diedero al saccheggio, bruciando una ventina di case e danneggiandone trenta.
La milizia fascista faceva la guardia fuori dall’abitato affinché i tedeschi potessero compiere indisturbati i loro delitti. Carichi di bottino , i tedeschi tornarono poi sui loro passi, per unirsi agli altri paracadutisti che intanto stavano saccheggiando Cervarolo, sempre con la complicità dei militi fascisti. Ammassarono nel recinto di un’aia del paese, sorvegliandoli con le armi puntate, tutti gli uomini che poterono catturare. Due ne uccisero in mattinata, padre e figlio, nella loro abitazione.
Si recarono anche dal prete Don Giovanni Battista Pigozzi, obbligandolo a firmare un foglio in cui avrebbe dovuto dichiarare che gli arrestati erano tutti partigiani. Al prete non mancò però il coraggio e rifiutò di sottomettersi alle minacce di quelle canaglie, tanto che venne completamente denudato, insozzato di sputi e per umiliarlo, spinto anch’esso nell’aia in quello stato.
Uomini di tutte le età, compresi tra i 17 e gli 84 anni, persino un povero paralitico, vennero posti di fronte alle armi automatiche. In gran parte anziani, i quali non avrebbero mai immaginato le vere intenzioni dei nazifascisti, se non quella di essere deportati nella peggiore delle ipotesi.
Dopo aver derubato quanto potevano dal paese, i tedeschi fecero allontanare le donne e mitragliarono gli uomini; quindi le case vennero date completamente alle fiamme. Furono 24 i civili trucidati a Cervarolo e tra loro anche il parroco G.Battista Pigozzi, in quella tragica giornata.
Mai si era vista fino a quel momento nel reggiano, una così atroce rappresaglia. I fascisti non inorridirono, loro che tanto avevano la Patria nel cuore, non si ribellarono ad un simile scempio compiuto nei confronti di innocenti italiani. Anzi, per i comandanti e per i loro sottoposti, il tutto parve addirittura come una semplicissima formalità.
Eccidio della Bettola: 1944 – 24 giugno Eccidio della Bettola 
In seguito al fallito tentativo di far saltare il ponte in muratura nei pressi della Bettola, da parte della Squadra Sabotatori; un automezzo tedesco proveniente da Casina, sopraggiunse sul posto per impedire ai partigiani di compire la definitiva distruzione. Ne seguì uno scontro a fuoco durante il quale morirono diversi tedeschi ed i partigiani Enrico Cavicchioni, Pasquino Pigoni, Guerrino Orlandini. La reazione dei tedeschi fu immediata. Il combattimento era avvenuto verso le 22,30 del 23 giugno 1944 e già alle 23,15 partirono da Casina, autotrasportati, circa 50 dei 140 uomini del presidio della gendarmeria tedesca. La rappresaglia iniziò verso le ore 1 del giorno 24.
I tedeschi circondarono cautamente alcune case situate nei pressi del ponte, penetrati nella casa di Liborio Prati e Felicita Prandi, due vecchi di 70 e 74 anni, li uccisero insieme alla loro figlia Marianna. La casa venne poi depredata ed incendiata. La bambina undicenne Liliana Del monte si gettò da una finestra per salvarsi, ma fu ripresa e gettata in una stalla che bruciava, riuscendo però miracolosamente a sopravvivere. A questo punto i nazisti passarono alla locanda della Bettola, dove per mezzo di un interprete, si fecero aprire la porta dall’oste Romeo Beneventi. Fecero uscire le donne, i bambini e gli uomini, radunandoli in parte nel garage dell’albergo ed in parte dietro la casa.
I primi furono mitragliati, poi ricoperti da tronchi d’albero, cosparsi di benzina e dati alle fiamme per incenerirne i cadaveri. Coloro che invece erano stati radunati dietro al grosso fabbricato, vennero trucidati a bastonate ed a colpi di pistola, quindi gettati anch’essi nel rogo insieme agli altri.
Tra loro fu arso vivo Piero Varini, un bimbo di appena 18 mesi.
La furia omicida dei tedeschi, non ancora sufficientemente appagata, investì anche due giovanissime donne, prima violentate, poi uccise ed infine arse nel fuoco. Riuscirono a salvarsi l’oste, alcuni carrettieri nascosti in cantina ed un giovane renitente, rifugiatosi nel solaio.
Alla fine furono 32 i morti, in gran parte impiegati sfollati dalla città, braccianti, carrettieri di passaggio, studenti e scolaretti in tenera età, uomini e donne di età compresa tra i 5 ed i 74 anni.
Se a Cervarolo i tedeschi avevano massacrato soltanto gli uomini, alla Bettola non venne risparmiato nessuno, nonostante la popolazione fosse assolutamente estranea allo scontro con i partigiani avvenuto nella notte. La gendarmeria tedesca ebbe come unica intenzione quella di uccidere quante più persone possibili, riuscendo persino a superare in efferatezza persino le torme selvagge dei paracadutisti della divisione “Goering”.
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